TEST SU ANIMALI

Le pratiche vivisettorie non sono solo immorali, ma fuorvianti: l’uomo non è un animale e non reagisce nello stesso modo agli stessi stimoli!

Il termine “vivisezione” (dal latino vivus “vivo” e sectio “taglio”) è correttamente riferito a “tutte quelle modalità di sperimentazione, non necessariamente cruente, che inducano lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) negli animali di laboratorio (generalmente mammiferi), come ustioni, inoculazione di sostanze chimiche, esposizione a gas tossici o ad alte energie (radiante, elettrica, di altra natura), soffocamento, annegamento, traumi vari” (vocabolario Treccani).

I test su animali sono ancora imposti da norme europee e nazionali per motivi specifici (per esempio la sperimentazione pre-clinica di un farmaco) o largamente diffusi nella ricerca di base (che ha lo scopo di ampliare le nostre conoscenze). Dopo vent’anni di battaglie animaliste, l’Unione europea ha stabilito dall’11 marzo 2013 il divieto di compiere test sugli animali per i cosmetici e i prodotti di bellezza o altresì di vendere nell’Unione cosmetici o ingredienti testati su animali. Resta obbligatorio, se non è già stato fatto, provare su animali i prodotti destinati alla pulizia e all’igiene della casa.

In realtà le pratiche vivisettorie non sono solo immorali, ma fuorvianti, perché le differenze genetiche, anatomiche, biologiche, metaboliche, etologiche impediscono ad una specie vivente di essere efficace modello sperimentale per un’altra: l’uomo non è un ratto di 80 chili e non reagisce nello stesso modo agli stessi stimoli!

Molto spesso la vivisezione ostacola l’uso di metodi realmente predittivi, come le colture di cellule umane (metodi “in vitro”) da sole o combinate con modelli computazionali (metodi “in silico”). Per verificare la tossicità di sostanze come pesticidi, additivi alimentari o farmaci, studiosi del National Health Institute statunitense hanno recentemente concluso che “non è più necessaria la sperimentazione sugli animali”.

La Lega Italiana Difesa Animali e Ambiente è impegnata su tutti i fronti contro la vivisezione. Basti ricordare la campagna per il recepimento con criteri restrittivi della direttiva europea 63/2010, che ha condotto all’approvazione, tra gli altri, dell’“emendamento Brambilla”: il divieto di allevare sul territorio nazionale cani, gatti e primati destinati alla sperimentazione.

Questa norma, sancita dal decreto legislativo 26/2014, “Attuazione della direttiva 2010/63/UE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici”, impedisce che riprenda l’attività il famigerato stabilimento “Green Hill” di Montichiari (BS), dal quale sono stati salvati 2.693 beagle, o che sia aperto un altro allevamento di cani destinati ai laboratori. 

Ricordiamo infine che l’Italia garantisce il diritto all’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale (legge 413/1993). Se sei un medico, un ricercatore, o appartieni “al personale sanitario dei ruoli dei professionisti laureati, tecnici ed infermieristici”, o sei semplicemente uno studente di medicina o di scienze, la legge ti consente di manifestare l’obiezione di coscienza contro la vivisezione. La dichiarazione, revocabile in qualsiasi momento, va resa all’atto dell’assunzione o “al docente del corso, nel cui ambito si possono svolgere attività o interventi di sperimentazione animale, al momento dell’inizio dello stesso”. La legge specifica che “nessuno può subire conseguenze sfavorevoli, per essersi rifiutato di praticare o di cooperare all’esecuzione della sperimentazione animale”. Per i moduli, consultare i siti delle Università o delle facoltà, che sono tenute a informare sulla procedura.

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